Recovery Plan: Quali Saranno le Conseguenze per l’Economia Italiana?

I primi 25 miliardi del Recovery Plan dovrebbero arrivare nelle casse italiane a luglio. Una trance del 13% del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che complessivamente vale 235,1 miliardi (ai 191,50 miliardi europei vanno aggiunti 30,6 miliardi da un piano parallelo adottato dal governo ed altri 26 miliardi per la realizzazione di opere specifiche) e che qualche giorno fa ha ricevuto 10 A e una B (alla sezione “Costi”, come tutti gli altri piani approvati finora) negli 11 capitoli approvati dall’Unione Europea.

Uno shock economico, da alcuni analisti paragonato a un defibrillatore, che è l’unica speranza per cercare di rimettere in moto l’economia italiana. Con il Paese che scommette tutto su una robusta ripresa, che minimizzi l’impatto del debito contratto durante i mesi di pandemia, e del nuovo debito messo in campo con il dispositivo con 191,50 miliardi del PNNR di cui solo 68,9 sono di sovvenzioni a fondo perduto e 122,5 di nuovi prestiti.

Il moltiplicatore

L’idea che sta dietro al piano, praticamente riscritto da Mario Draghi dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi, è che gli interventi abbiano effetti moltiplicativi. I binari strategici su cui il piano, e il Paese, dovrebbe correre sono tre: digitalizzazione, innovazione e transizione ecologica. Con il Mise che stima che da questo pacchetto di riforme e investimenti peserà da solo una crescita entro il 2026 (anno in cui tutti gli interventi devono essere completati), 3 punti percentuali di crescita sul PIL e 3,2 punti in più di occupazione.

A fare da moltiplicatore però dovrebbero essere un’altra serie di riforme complementari, e dettagliate nel piano. Su tutte quelle della giustizia e della deburocratizzazione. Problemi antichi che sono alla base della crescita piatta italiana dell’ultimo ventennio, con il Pil tricolore che dal 1999 al 2019 è cresciuto del 7,9% (Francia e Spagna hanno incamerato rispettivamente +30,2 e del +43,6) e il rapporto debito-Pil che, anche per questo, è finito completamente fuori controllo.

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Recovery Plan

La resilienza

La parole d’ordine è la resilienza, ma anche il cambio di paradigma di cui Draghi, conosciuto e apprezzato nel mondo per il suo Whatever it takes pronunciato da presidente della Bce, si è fatto portavoce in Europa e nel Mondo. Basta austerità e conti in ordine a tutti i costi, ma debito buono per far correre il prodotto interno lordo e abbassare così il rapporto debito-Pil. Una rivoluzione copernicana, o meglio keynesiana, accettata anche dai paesi frugali sia per l’autorevolezza di Draghi che per i problemi che anche il Nord Europa si è trovata a fronteggiare a causa della pandemia.

Il valore aggiunto

Via dunque a interventi statali pesanti, ma anche alla creazione di valore aggiunto, che per oltre un terzo si svilupperà nei settori delle costruzioni, opere edili e immobiliare: poco meno di un milione di imprese e più di 2 milioni di occupati, di cui 9 su 10 in micro e piccole imprese. A incidere soprattutto il Superbonus 110% che finisce per essere il terzo intervento più finanziato, dopo ferrovie (che vale 28,30 miliardi, più altri 3 per la logistica) e transizione digitale, con quasi 19 miliardi di euro. Parte di quella transizione ecologica, chiave di volta del piano, su cui l’Italia vi investirà un totale di 69,96 miliardi di euro, puntando pesante anche su agricoltura sostenibile e economia circolare, transizione energetica e mobilità sostenibile e tutela territorio e risorsa idrica.

Istruzione e coesione

Altre due voci di investimento pesanti, entrambe trascurate per decenni, sono “Istruzione e Ricerca” a cui sono riservati oltre 33 miliardi, e “Inclusione e Coesione”, che di miliardi ne vale 29,6. Per l’istruzione 20 miliardi serviranno per la filiera dagli asili nido all’università, poco meno di 13 per il capitolo “dalla ricerca all’impresa”. I circa 30 miliardi di inclusione e coesione andranno alle “politiche per il lavoro”, 12,63 miliardi, “infrastrutture sociali, famiglie, terzo settore”, 12,58 miliardi e “interventi per coesione sociale”, 4,41 miliardi.

Anche qui l’effetto moltiplicatore è atteso in varie declinazioni. Il potenziamento dei nidi ad esempio è strettamente collegato all’aumento dell’occupazione femminile, gli investimenti sul lavoro alla revisione del collocamento e a una nuova versione del reddito di cittadinanza, da declinare come politica attiva e non solo sussistenza. C’è comunque da recuperare uno strappo causato dalla pandemia che ha acuito in maniera importante le differenze di genere nel mondo del lavoro, e ha visto un crollo degli occupati solo in parte rimandato dal blocco dei licenziamenti in scadenza.

Salute

Inevitabile punto forte del piano, in totale controtendenza rispetto a lustri di tagli, è quello dedicato alla Sanità, con l’evoluzione della pandemia ancora tutta da decifrare e la necessità di rimettere in piedi la medicina territoriale, grande assente dell’emergenza, e potenziare la telemedicina. Del 20,22 miliardi complessivi dedicati alla salute 9 andranno a queste due voci e 11,22 a innovazione e ricerca. Anche qui la speranza è che gli investimenti, oltre a rilanciare l’occupazione, assorbano in maniera importante costi e disservizi, finendo per essere un moltiplicatore positivo sull’economia.

Le cinque riforme

La vera chiave di volta del PNNR, e del futuro dell’Italia, sono però le riforme. Carenti nel piano presentato da Conte e molto più dettagliate nella versione Draghi, sono fondamentalmente 5, “Riforma della pubblica amministrazione, che comprende al suo interno trasformazione, accesso e competenze” “Riforma del sistema della proprietà industriale”, “Riforma della formazione obbligatoria per la scuola”, “Riforma delle politiche attive del lavoro”, “Riforma della medicina territoriale”.

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